Andrea Gravano membro SLPcf e AMP

All’inizio della psicoanalisi è il transfert, ce lo dice Lacan ne “la proposta”. Un’analisi inizia dunque nel momento in cui vi è transfert? La cosa, seppur ovvia, non è poi così ovvia: la lettura di un paio di testi di Miller e di Laurent[1] ci aiutano non solo a dissipare questa ovvietà o presunta tale, ma – credo – a fare una introduzione al tema del prossimo convegno della SLPcf.

Non vi è un momento, un indice sicuro, che indichi l’inizio dell’analisi, come potrebbe essere, per la fine dell’analisi, per esempio, l’attraversamento del fantasma.

L’ingresso in analisi vede invariabilmente un attacco contro quella sicurezza che dà a ciascun soggetto il suo fantasma, in quanto il fantasma costituisce la matrice di ogni significazione alla quale il soggetto ha accesso ordinariamente. Vi è dunque, nel momento dell’ingresso in analisi, un incontro col reale a partire da un vacillamento del soggetto.

Miller ci mette in guardia dal considerare la domanda d’analisi come esordio dell’analisi stessa. Sebbene tale domanda da parte dell’analizzante abbia valore di atto, per le sue coordinate simboliche, per un certo superamento, si tratta tuttavia di una domanda da intendersi come conseguenza di un transfert già stabilitosi in precedenza, come una pre-interpretazione da parte del soggetto dei propri sintomi che si manifesta attraverso il ricorso a qualcuno – l’analista – che si suppone abbia un sapere su quei sintomi che il soggetto patisce.

Tale pre-interpretazione si rileva nella clinica attraverso l’evidenziarsi di un certo stile di non-senso dei pensieri del soggetto, dei suoi comportamenti, financo della sua intera esistenza: anche l’incontro col soggetto-supposto-sapere, nelle prime sedute, facilmente porterà a una sorta di generalizzazione dell’emergere del sintomo di cui l’analista – ci suggerisce Miller – dovrà, in questi incontri preliminari, constatare l’estensione, senza amplificarla più di quanto convenga: tali incontri preliminari, in realtà, sarebbero dunque secondari rispetto a un transfert che preesiste al cosiddetto “preliminare”.

Il sintomo, inizialmente, si rapporta con la realtà quotidiana: incontrato nell’après coup del racconto del paziente ha uno statuto immaginario, si identifica per il soggetto alla sua stessa vita.

Un secondo tempo vede il sintomo come soluzione di continuità, in cui si potrà après coup nell’analisi riconoscere l’incontro con l’oggetto: tale emergenza implica uno statuto di reale.

In un terzo tempo, si inscrive la domanda all’analista: su tratta di un momento supportato dal sintomo, per il quale si chiede all’analista la restituzione di uno statuto simbolico, come messaggio articolato dall’Altro. Nell’ingresso in analisi, il soggetto giunge in opposizione simbolica al soggetto-supposto-sapere nel posto dell’Altro, con un appello fatto a un soggetto-supposto-sapere nella realtà, a chiunque. Il sintomo diviene analitico nel momento in cui sia preso nel discorso dell’analista, attraverso il quale, nella domanda, sia agganciato all’Altro. Ciò comporta l’apertura del soggetto al desiderio dell’Altro, la sua isterizzazione. Il sapere supposto del senso del sintomo fa da schermo all’oggetto del fantasma, nonostante tenti allo stesso tempo di fargli posto.

In questo inizio di analisi appaiono fenomeni marginali, sintomi transitori: i primi sogni, i primi lapsus, i primi atti mancati; l’emergere di tali fenomeni connota questo tempo di innesto del sintomo, sul soggetto-supposto-sapere e sul desiderio dell’Altro.

Possiamo concentrare la nostra attenzione sul versante del sapere, possiamo concentrarci sulla causa del desiderio, ma Miller ribadisce che è il significante del transfert il solo punto di riferimento per la clinica all’inizio della cura psicoanalitica. Con un riferimento alla cristallografia, per cui un cristallo si produce a partire da un germe cristallino in una soluzione che rompe l’equilibrio e induce una precipitazione che porterà tutta la soluzione a farsi cristallo, il sintomo si cristallizza a partire dal germe del significante del transfert.

Dunque l’inizio dell’analisi è la precipitazione del sintomo? Potremmo dire a partire dalla nostra clinica contemporanea che supposto-sapere, domanda e precipitazione del sintomo nelle consultazioni attuali non si evidenzino, per così dire, così nitidamente, in maniera così cristallina, potremmo altrettanto dire che il transfert sembri spesso non così legato a una supposizione di sapere sul versante dell’analista e che le domande che oggi arrivano nei nostri studi e nelle istituzioni in cui operiamo siano ben lontane dalle domande “classiche”.

Lacan, nel suo ultimo insegnamento, mette in discussione il transfert, manifesta con chiarezza quella che chiaramente configura come un’impasse del transfert. Il transfert suppone il grande Altro: c’è transfert solo se c’è un supposto sapere ben consolidato e chiaramente questo non è possibile allo stesso modo nel momento in cui non ci sosteniamo più sul Nome-del-padre, nel momento in cui sappiamo che l’Altro non esiste.

Se il transfert positivo è rappresentato dal soggetto-supposto-sapere in funzione, al lavoro, Lacan, nel seminario XXIII, parte dal transfert negativo, da quello che non c’è: quello che c’è è, di contro, il sapere dell’analizzante e noi, allorché facciamo gli analisti, seguiamo proprio quello che ha da dire l’analizzante, lo ascoltiamo, teniamo conto di quel che ci dice, delle sue parole. In questo senso l’analista è qui più il segretario dell’elaborazione del paziente piuttosto che l’analista ancorato al suo supposto sapere: diamo al sapere dell’analizzante la sua portata di singolarità radicale, a partire da quel “c’è dell’Uno, e nient’Altro”. Esiste la possibilità di un transfert positivo nella misura in cui l’analista, nell’ascolto del soggetto, si rifà all’inciampo, al vacillamento, allo slittamento di parola in parola, con «l’aggiunta di sentimento, un’aggiunta di significazione, che consente un nuovo uso del partner di godimento per superare gli inciampi della svista del soggetto confrontato a lalingua e alla sua instabilità, ai suoi continui slittamenti[2]». C’è un appoggio dell’analista che procede attraverso la valorizzazione delle nominazioni più singolari realizzate dal soggetto. Credo che sia qui, in questo modo di ascolto, che chi viene da noi anche se non suppone in noi alcun sapere diverso dai tanti saperi contemporanei che ha a disposizione nel mercato della cura, possa trovare quel che Lacan indicava come “La psicoanalisi è ciò che fa vero”. E, mi viene da dire, è forse qui che si oltrepassa la porta del preliminare.

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[1] Cfr. J.-A. Miller, “C.S.T”., e E. Laurent, “Il trattamento psicoanalitico delle psicosi e l’uguaglianza delle consistenze”, in Conversazione clinica, Quodlibet, Macerata, 2021.

[2] E. Laurent, op. cit., p. 43.